Nuovo appuntamento con le news curate dal blog di Meteca. A supportarci oggi è un articolo pubblicato sulla rivista Ticino Management del mese di settembre 2021.
Nel blog di questa settimana parliamo della crisi delle materie prime, diventate negli ultimi mesi costosissime e spesso introvabili.
I motivi sono molti, ma quello principale è la pandemia. Nei primi mesi di emergenza sanitaria i valori dei prezzi delle materie prime sono crollati del 20-30%. La Cina ha potuto approfittare della situazione per fare scorte sia grazie alla sua economia pianificata, sia perché ha avuto il vantaggio di “ripartire” con diversi mesi di anticipo rispetto alle altre nazioni.
In breve tempo, però, i prezzi hanno ripreso ad aumentare in modo incontrollato. Uno dei motivi è la ripartenza in contemporanea dell’economia di tutte le nazioni, le quali si ritrovavano coi magazzini vuoti a causa dell’organizzazione «just in time» (le imprese si sono abituate, per essere più efficienti, a non accumulare scorte). Ovviamente, i magazzini vanno riempiti da zero. Allo stesso tempo le materie prime sono diventate un ottimo investimento perché sono prezzate in dollari, moneta debole in questo momento: risultano quindi convenienti per chi acquista in euro o in altre valute. A tutto ciò bisogna aggiungere l’enorme aumento dei costi di trasporto e logistica.
Tali difficoltà hanno coinvolto drammaticamente anche l’industria dei semiconduttori, riportando l’attenzione sull’estrema dipendenza dalla tecnologia che coinvolge tutti i paesi avanzati e che solo la Cina era stata in grado di intuire con largo anticipo.
Ancora oggi, nel pieno dell’era della digitalizzazione, nel momento stesso in cui da una fase anche avanzata di ricerca applicata si passa a quella di produzione, emerge il più antico dei vincoli: l’indissolubile dipendenza della tecnologia dalle materie prime. E se in questo l’emergenza sanitaria ha sicuramente contribuito, sarebbe stata molto probabilmente solo una questione di tempo.
Quelle che nel nostro settore elettronico erano pesanti criticità già in passato si trasformano ora in emergenze assolute. Prima fra tutte la scarsità dei componenti fondamentali di ogni dispositivo elettronico: i semiconduttori, cioè i materiali necessari alla creazione degli elementi di base di tutti i microchip. I semiconduttori sono centrali all’interno del mondo dell’elettronica e di tutte le sue aree di sviluppo strategico: IA, cloud, IoT, veicoli elettrici, ecc. Dal 2001 questo mercato cresce a un ritmo annuo del 6% e già oggi vale oltre 450 miliardi di dollari a livello globale. Solo in seguito alla pandemia sono state veramente rivalutate l’importanza strategica e le numerose criticità della catena di fornitura, rivelatasi molto meno sicura di quanto non si ritenesse.
L’ulteriore accelerazione della “corsa all’ultimo modello”, tipica del consumismo delle società avanzate, già da tempo stava testando le catene produttive di molti settori (specie quelli tecnologici) che hanno comunque saputo assorbire numerose crisi temporanee, disastri ambientali localizzati o scarsezza di materie prime, ma che stanno mostrando tutti i loro limiti in una situazione eccezionale protratta nel tempo, che ha oltremodo eroso anche i buffer delle aziende meglio preparate.
Se la domanda di semiconduttori sta aumentando esponenzialmente, le numerose difficoltà ne stanno invece contraendo l’offerta. Alla radice della crisi c’è un evidente squilibrio tra domanda e offerta, un dato che però non dovrebbe sorprendere.
Il settore dei semiconduttori si trova quasi sempre in uno stato di sotto o sovra offerta: se, infatti, l’aumento della domanda è solitamente lineare, l’offerta non lo è. Lo sviluppo di un Fab all’avanguardia, un sito produttivo, oltre a richiedere diversi anni, può costare anche 10 miliardi di dollari, il che li rende particolarmente rari. Basti pensare che il più grande produttore mondiale di chip, la taiwanese Tsmc, con una quota di mercato di oltre il 30%, ha al momento solo 12 Fab attivi. Da ciò si deduce che l’aumento dell’offerta sia poco frequente e richieda tempo, il che produce inevitabilmente squilibri costanti.
Molteplici le cause alla base di queste difficoltà generalizzate. Ma la principale è, ancora una volta, l’emergenza sanitaria – declinata in più versioni, tutte rilevanti. L’impossibilità di lavorare in presenza e le numerose restrizioni, lockdown generalizzati imposti dai Governi hanno causato un sensibile calo della produttività in molte industrie, tra cui anche quella dei semiconduttori. Tali restrizioni hanno anche portato all’esplosione della domanda di nuovi e più potenti dispositivi elettronici che consentissero un lavoro più smart o, nel caso dei più giovani, di nuove console di gioco. Tradotto: un consumo ancora superiore di chip e microchip.
Non bisogna fare i conti solo con la sanità. Gli equilibri del sistema sono stati colpiti anche da ulteriori criticità: logistiche, la mancanza di container in Asia frutto di disfunzioni sistemiche dei normali flussi di trasporto, incidenti di specifici vettori (ad esempio nel canale di Suez). O ancora la grave siccità che sta interessando l’Asia e che sta limitando la capacità di lavorazione del silicio, come anche l’annuncio da parte di molte case automobilistiche di nuovi modelli elettrici – i quali richiedono dal doppio al triplo di componenti elettronici rispetto ai motori a combustione.
La crescente scarsità di tali elementi sta spingendo le grandi aziende dell’automotive (quelle dal potere contrattuale significativo) a incrementare le scorte per proseguire con la produzione il più a lungo possibile. Ciò sta portando a un avvitarsi della crisi per la maggior parte degli operatori, in un numero crescente di settori e mercati. Ne consegue che l’estrema concentrazione dell’industria dei semiconduttori, a fronte di tutte le sue peculiarità, la espone a una serie di rischi indipendenti dal prezzo (soprattutto nel breve periodo).
Ma ci sono anche delle notizie positive. L’Europa presenterà una legge sui semiconduttori per prepararsi ad essere più indipendente. Lo scopo comune di Stati Uniti ed Europa è, di fatto, quello di allentare la dipendenza dai mercati asiatici e tornare a produrre chip sui propri territori.
Così, mentre l’amministrazione americana e le grandi società statunitensi si attivano per trovare soluzioni alternative, anche le istituzioni europee si stanno muovendo per individuare una strada da seguire. Non è un obiettivo semplice (non lo è neanche per gli Stati Uniti, che possono contare su molte più risorse dell’Europa e stanno investendo decine di miliardi), ma non è nemmeno irraggiungibile – anche se ci vorranno parecchi anni, forse decenni.
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